Quando c’era il Duce…..
(di Marco
Cucchi)
“Se non
c’era il Duce col …. che prendevi la pensione, visto che l’INPS la inventò lui”: il primo sistema pensionistico in
Italia a tutela dello stato di sopraggiunta invalidità sul lavoro o nel caso di
impossibilità al lavoro per vecchiaia venne costituito nel 1898 quando venne
introdotta la CNP, Cassa Nazionale di Previdenza nella quale venivano iscritti
i lavoratori di alcune categorie e definitivamente dal 1919 quando l’ente
divenne CNAS (Cassa Nazionale per le Assicurazioni Sociali) prevedendo
l’iscrizione obbligatoria per tutti i lavoratori.
“Se non
c’era il Duce e ti ammalavi, peggio per te, non prendevi lo stipendio”: con la legge 11 gennaio 1943 n.
138 venne istituita la prima Cassa Mutua di Assistenza di Malattia che offriva
tutele minime ai soli lavoratori dipendenti del pubblico impiego e nulla per
gli altri.
L’indennità
di malattia è un dono della repubblica democratica visto che venne istituita
con decreto legislativo del Capo provvisorio dello stato nr. 435 del 13 maggio
1947 l’INAM, Istituto Nazionale per l’assicurazione contro le malattie,
riformato nel 1968 che assisteva tutti i lavoratori, anche coloro che
dipendevano da imprese private.
E nel 1978,
con Legge 23 dicembre 1978, nr. 883, veniva estesa, oltre che l’indennità
retributiva in caso di malattia, anche il diritto all’assistenza medica con la
costituzione del Servizio Sanitario Nazionale.
“Il Duce
ha inventato la Cassa Integrazione Guadagni per aiutare i lavoratori di aziende
senza lavoro”: nel 1939,
tramite circolari interne, veniva prevista la possibilità, prevista senza un
reale quadro normativo per poterla applicare, visto che allora era totalmente
inutile.
L’Italia,
già coinvolta nelle guerre nelle colonie (Libia, Abissinia) si stava preparando
all’entrata in guerra al fianco della Germania e l’industria (soprattutto
quella bellica) era in gran fermento, motivo per cui non solo si lavorava a
turni pesantissimi ma si assistette addirittura al primo esodo indotto di
lavoratori dall’agricoltura all’industria.
La Cassa
Integrazione Guadagni, nella sua struttura è stata costituita solo il 12 agosto
1947 con DLPSC numero 869, misura finalizzata al sostegno dei lavoratori
dipendenti da aziende che durante la guerra erano state colpite e non erano in
grado di riprendere normalmente l’attività.
“Quando
c’era il Duce non vi era disoccupazione in Italia”: vero, anche se in maniera
discutibile.
Unica
precisazione da fare è che tale evento non era giustificato da reale stato di
benessere dell’economia ma da due eventi ben precisi: l’Italia stava preparando
l’entrata in guerra e tutte le industrie (e l’artigianato) che direttamente o
indirettamente fornivano l’esercito lavoravano a pieno regime.
Per contro,
l’accesso al lavoro era precluso a tutti coloro che non sottoscrivevano la
tessera del Partito Nazionale Fascista, sanzione che era estesa anche ai datori
di lavoro che eventualmente li impiegassero.
Motivo per
cui durante il fascismo assistemmo ai primi flussi migratori, di tutti coloro
che per motivi politici non intesero allinearsi al regime ma avevano una
famiglia da mantenere.
Francia
(prima dell’invasione nazista), USA, Argentina, Brasile e Africa le direttive
principali dell’emigrazione Italiana: anche mio bisnonno da parte di padre fu
costretto ad emigrare in Etiopia visto che nella Romagna nessuno intendeva
rischiare dando lavoro a uno privo della tessera del partito.
Gli
extracomunitari attuali non esistevano visto che venivano direttamente
sfruttati in loco nelle colonie, mentre i migranti erano i nostri poveri che
non volevano tesserarsi al partito, motivo per cui in Italia, chi non lavorava
per la guerra era indotto ad emigrare.
“Se non
c’era il Duce le grandi strade in Italia non venivano costruite”: anche questo non è vero,
visto che la necessità di realizzare infrastrutture in Italia fu un’idea di
Giovanni Giolitti durante il suo quinto governo (15 giugno 1920/7 aprile 1921),
avendo constatato l’impossibilità di uno sviluppo industriale in mancanza di
solide strutture, sviluppo industriale dimostratosi necessario dal confronto
con le altre grandi potenze che avevano partecipato al primo conflitto
mondiale.
Tale
“rivoluzione” non potè essere attuata da Giovanni Giolitti, prima, e dal
governo Bonomi che ne seguì solo per i sette mesi che resse a causa del
boicottaggio e dell’ostruzionismo politico da parte del nascente fascismo,
prima generico movimento popolare (1919) e poi soggetto in forma di partito dal
1921, con la costituzione del Partito Nazionale Fascista.
“Quando
c’era il Duce il popolo stava meglio”: anche questa è un’affermazione discutibile.
Infatti, a
seguito delle sanzioni internazionali irrogate nel 1936 all’Italia a seguito
dell’invasione dell’Etiopia, il 18 novembre di quell’anno venne indetto il
“Giorno della fede” in cui gli italiani furono invitati, in teoria, a donare
tutto il proprio oro alla Patria ricevendo, in cambio delle fedi nuziali (gli
sposati) anelli in ferro con la scritta “ORO ALLA PATRIA – 18 NOV.XIV” che
ancora qualche anziano possiede ancora.
Teoricamente
perché, malgrado fosse fatto su invito volontario, chiunque venisse colto a
possedere oro proprio anche in casa, veniva perseguito come traditore e nemico
della patria dalle squadre del Fascio Littorio, ripassati (come si diceva
allora) a manganello ed olio di ricino.
E sempre per
sostenere la guerra in Abissinia ed Eritrea prima, quella al fianco dei
tedeschi poi, venne imposta l’autarchia: tutti i prodotti di importazione
vennero soppressi come la maggior parte del grano utilizzato per la pasta e
sostituito dall’”italico” riso, come ad esempio il caffè, sostituito dal
“surrogato” fatto con cicoria tostata e il the, sostituito dal “coloniale”
karkadè, misura che complessivamente peggiorò di molto la qualità della vita
del popolo.
E il
sequestro ai contadini della produzione agricola: agli agricoltori, come i miei
parenti nell’alto forlivese, veniva imposta una elevata produzione agricola di
cui solo una piccola parte veniva lasciata al contadino per il consumo
personale e la vendita al mercato mentre una quantità esosa veniva “prelevata”
dai fascisti locali “per il bene della patria”. E anche gli animali da carne.
Furono anni
in cui calò l’allevamento dei maiali, animale ingombrante, oneroso da
mantenere, visibile e quindi facilmente “prelevabile” in favore
dell’allevamento del coniglio, più piccolo, più discreto e quindi più
facilmente nascondibile; nel paese di Santa Sofia di Romagna (FC), tutta la
collina della frazione di Camposonaldo, zona impervia da esplorare, divenne
prima che territorio e base dei partigiani luogo di allevamento abusivo dei
conigli, quelli che le famiglie contadine mangiavano la domenica e nei giorni
di festa malgrado le disposizioni del regime.
“Il Duce
amava l’Italia”; «Mi
serve qualche migliaio di morti per sedermi al tavolo delle trattative.» enunciò
il Duce il 26 maggio 1940 (ndr. L’Italia nella seconda guerra mondiale,
Milano, Mondadori, 1946, p. 37): e così fu, visto che nella disastrosa
“campagna di Russia”, solo per compiacere Adolf Hitler con una presenza
italiana del tutto male equipaggiata e fornita nelle sue operazioni di guerra
di guerra, persero la vita ufficialmente 114’520 militari sui 230’000 inviati
al fronte, a cui aggiungere i dispersi, ovvero le persone che non risultavano
morte in combattimento ma nemmeno rientrate in patria, che fonti UNIRR stimano
in circa 60’000 gli italiani morti durante la prigionia in Russia.
Il Duce
amava talmente l’Italia da aver introdotto leggi razziali antisemite nel 1938
solo per compiacere l’alleato nazista, inutili perché in Italia gli ebrei, a
differenza che in Germania, non avevano un’importanza rilevante in un sistema
economico di cui la dittatura volesse provvedere all’esproprio.
E i
fascisti, soprattutto durante il periodo della Repubblica Sociale Italiana (o
di Salò) collaborarono attivamente ai massacri di rappresaglia a seguito delle
operazioni partigiane e alla deportazione nei lager di cittadini italiani.
E l’Italia,
unico nei paesi “satellite” della Germania nazista, il fascismo fu istitutore e
gestore di “lager” in Italia con l’impiego prevalente di proprio personale:
la bibliografia ufficiale
stima in 259 i campi di prigionia in Italia e gestiti con presenza prevalente
di personale italiano, alcuni normali campi di detenzione, altri campi di
smistamento in attesa della deportazione in Germania come quello di Bolzano (in
cui imperversò, partecipando ad alcuni massacri futili ma brutali anche
l’alpino Albino Cologna) e Fossoli, in provincia di Modena; ma alcuni erano
autentici campi di sterminio come la Risiera di San Sabba a Trieste, dove il
tenore dei massacri era inferiore solo ai campi in Germania e Polonia, molto
più grandi e appositamente attrezzati.
Solitamente
bastava il 25% delle asserzioni sopra esposte per venire “cacciati” dalla
pagina, subendo il rancore di chi non riesce più a sostenere un confronto
dialettico. E, voglio proprio vedere, chi con un minimo di intelligenza e di
conoscenza della storia possa ammettere che Benito Mussolini e il fascismo
abbiano fatto il bene dell’Italia.
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