L’accordo tra il gruppo Fiat e il
sindacato Usa ha suscitato l’entusiasmo nei media italiani, del
resto facili da accendersi per l’impresa
piemontese, dati i legami abbastanza stretti che corrono da sempre
tra di essa e i nostri quotidiani più importanti. Al coro si sono
uniti i soliti sindacalisti Cisl e Uil, nonché ovviamente qualche
rappresentante del governo. Sintetizzano tale reazione due
titoli apparsi su Il Sole 24 Ore; vi si parla da una parte di «successo
del sistema Italia», mentre dall’altra si afferma che «vince
l’abilità negoziale del manager». Ci permettiamo di dissentire da
ambedue i concetti espressi dal quotidiano della Confindustria.
Il «successo del sistema Italia» appare del tutto
relativo se consideriamo come la percentuale di italianità del
gruppo tenda ormai ai minimi. Intanto, già da tempo, un pezzo
importante del gruppo, la Fiat Industrial, con i suoi camion, i suoi
trattori, le sue macchine movimento terra, veleggia da un paradiso
fiscale all’altro e l’Italia appare l’ultima delle sue preoccupazioni.
Ora tocca all’auto. Quasi ovviamente, il quartier generale del raggruppamento Fiat-Chrysler sarà trasferito negli Stati Uniti
e rischiamo quindi di perdere qualche migliaia di posti di lavoro a
Torino. Del resto, le vendite e la produzione in Italia (grazie
anche alle scelte fatte a suo tempo dal management) rappresentano
ormai sono una parte molto minoritaria di quelle mondiali del
gruppo, mentre è già annunciato che il titolo sarà quotato
principalmente alla borsa di New York.
Per far digerire meglio la
pillola all’opinione pubblica del nostro paese il management
confermerà per l’Italia, almeno speriamo, un po’ di investimenti
per rafforzarvi la produzione di alcuni modelli; attendiamo con
apprensione gli annunci ufficiali in proposito.
Il governo approfitterà della
novità per chiedere almeno notizie sul destino vero di Mirafiori e di
Cassino, come qualche persona assennata sta chiedendo? O
addirittura per sapere quale sarà il futuro di tutti gli
stabilimenti italiani? Mah, quelli sono occupati in ben più
importanti faccende.
Comunque, per quanto riguarda le
attività produttive, la fusione con Chrysler dovrebbe permettere
alla Fiat, oltre che di sviluppare un po’ di sinergie produttive,
di mettere le mani sul tesoretto finanziario dell’azienda Usa e di
trovare quindi, senza esagerare con l’Italia, un po’ di soldi per
portare avanti qualche investimento anche qui da noi.
Va peraltro ricordato come la
struttura finanziaria del nuovo gruppo non appaia, a detta degli
esperti, come molto brillante e in ogni caso essa sembra essere
peggiore di quella dei suoi principali concorrenti, con
l’esclusione forse della Citroen-Peugeot, che però si sta accasando con
lo stato francese da una parte e con i produttori cinesi della
Dongfeng dall’altra.
Più che di un successo del
sistema Italia si potrebbe parlare di un successo degli azionisti,
guidati dal pirotecnico Lapo Elkann, clone di Marchionne; alla
notizia della fusione i titoli del Lingotto sono subito saliti in
misura rilevante. Anche l’amministratore delegato troverà il suo
tornaconto nella faccenda, perché potrà consolidare da noi la
fama di manager miracolo e vedere anche aumentati i suoi bonus di
fine anno.
Ci sia permesso di esprimere
peraltro solo qualche dubbio sulla presunta abilità negoziale di
Marchionne. Il sindacato statunitense aveva chiesto 5 miliardi di
dollari per concludere l’affare, mentre Marchionne aveva
dichiarato con sdegno che il prezzo giusto era di soli 2 miliardi.
Ora scopriamo che la Veba ha ottenuto 4,35 miliardi; si tratta di una
cifra molto più vicina alle richieste statunitensi che all’offerta
italiana.
Di positivo per Torino c’è il
fatto che la parte più importante dell’esborso per l’acquisto del 41,5%
della Chrysler verrà sostenuto dalla stessa casa americana, mentre
l’azienda di Torino dovrà pagare soltanto 1,75 miliardi di dollari e
non sarebbe obbligata, almeno nell’immediato, a dover ricorrere ad un
aumento di capitale, scelta peraltro probabilmente ineludibile
tra qualche tempo.
Con la fusione si costituisce
il settimo gruppo automobilistico mondiale, che avrà comunque
molte difficoltà a lottare con i veri protagonisti del settore.
Lo stesso Marchionne aveva
dichiarato alcuni anni fa che per stare adeguatamente sul mercato
bisognava produrre almeno sei milioni di vetture, ma nel 2013 la
Fiat-Chrysler ne avrà consegnate forse poco più di quattro milioni.
A livello della situazione sul
terreno il gruppo ha dei punti di forza commerciali in Brasile, con
una posizione però sempre più insidiata dalla concorrenza, negli
Stati Uniti, grazie peraltro anche alla forte ripresa del mercato
locale negli ultimi anni (cosa succederà quando il mercato si
fermerà?), in Italia. Il resto del quadro non appare come molto
brillante. Negli altri paesi europei ormai le sue quote di mercato
sono minuscole, mentre esso non esiste quasi in Asia, l’area ormai
più importante del mondo per il settore e neanche in Russia, dove le
previsioni per i prossimi anni indicano che tale mercato
diventerà il primo in Europa, scavalcando la Germania.
In Cina, ormai il paese guida per
il settore, dopo due false partenze il gruppo sta avviando ora le sue
attività produttive con molta fatica e, se tutto va bene, fra
qualche anno esso avrà l’1% di quota di mercato; una meraviglia. In
Russia si attende ancora l’avvio operativo della produzione di
auto, che appare legata all’accordo con qualche potentato locale che
ancora non sembra arrivare, mentre per il momento si dovrà limitare a
produrre qualche Ducato.
Per quanto riguarda poi la gamma
delle produzioni, nella nebbia delle rare e confuse dichiarazioni
del management, sembra possibile negli ultimi tempi individuare
una strategia ormai relativamente definita, anche se non in tutti i
suoi aspetti.
Nella fascia alta del mercato,
si profila, oltre alla presenza della Ferrari, quella della Maserati
e forse anche dell’Alfa Romeo, marchio quest’ultimo di cui però non si
conoscono bene i possibili destini. Ma la produzione annunciata
per i prossimi anni per la stessa Maserati, a livello di 50.000 unità
all’anno, pur rilevante e sicuramente da perseguire, appare alla
fine modesta, mentre le varie Mercedes, BMW, Audi, veleggiano ormai
sui milioni di unità.
Nella fascia più bassa, abbiamo
dei modelli di successo quali la 500 e la Panda, di cui si cerca di
tirar fuori tutte le possibili versioni e mirando a mantenere i
prezzi a livello sostenuto. Ma poi c’è il vuoto, che forse sarà
colmato molto in parte nel 2014 con la nuova versione della Punto;
troppo poco e molto tardi.
Nella fascia mediana, ci sono i
prodotti della Chrysler, che è abbastanza brava però a vendere suv e
pick-up, mentre fa più fatica con le berline di fascia media e
media-bassa. È questo un altro punto debole rilevante della
strategia di prodotto del gruppo.
Alla fine, se la Fiat-Chrysler
pretende di essere tra i protagonisti del mercato mondiale,
sembra evidente che è difficile che possa farcela da sola; essa, a
nostro parere, dovrebbe sviluppare un’alleanza con un altro
produttore che, oltre ad accrescere i volumi complessivi, copra
perlomeno i suoi buchi in Asia e nella fascia delle berline medie e
che sia inoltre ben fornito finanziariamente. Altrimenti, la
stessa sopravvivenza del gruppo potrebbe essere messa in discussione
nei prossimi anni.
Il 2014 si presenta come probabilmente molto movimentato per i lavoratori del gruppo.
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