sabato 4 maggio 2013

No di Rodotà alla Convenzione: «È dannosa, spero che fallisca»

Il giurista non non guiderà né parteciperà alla Convenzione per le riforme, anzi, lancia una anti-Convenzione. Berlusconi vorrebbe presiederla ma per Renzi e Fassina è inadatto. Il Pdl: non accettiamo veti

Stefano Rodotà rovescia il tavolo della Convenzione per le riforme apparecchiato da Pd e Pdl. Non solo non ha alcuna intenzione di presiederla come ventilavano grillini e Sel ma la giudica anche «un ri- schiosissimo attacco ai principi costituzionali». Al teatro Eliseo di Roma, il convegno organizzato da Left, il giurista interviene e smonta una per una le teorie dei novelli padri costituenti. «La Convenzione - spiega Rodotà - è un cattivo servizio alla politica costituzionale, è l'opposto di quello che si dovrebbe fare. Non solo non la voglio guidare ma mi auguro proprio che non funzioni, anzi, ci organizziamo in un'anti-Convenzione». Del resto «il Parlamento le riforme costituzionali quando ha voluto è stato in grado di farle», per esempio con il nuovo titolo V, il pareggio di bilancio (articolo 81), il giusto processo, la «devolution» di Lorenzago bocciata dal referendum. Da candidato al Quirinale il professore emerito non si sottrae al ruolo di «federatore» ombra, come collante culturale di ciò che resta della sinistra (parola che non cita mai direttamente, anche per non irritare i 5 stelle, presenti all'appuntamento). «Se vogliamo ricostruire non possiamo escludere nessuno - spiega Rodotà indicando nei parlamentari pentastellati - una nuova forza parlamentare che ha la voglia di imparare come si fa politica». Più che la sinistra-sinistra, appunto, in sala c'è l'embrione dell'opposizione politica al governo Pd-Pdl: Vito Crimi (M5S), Gennaro Migliore (Sel). E anche Antonio Ingroia, che ieri ha ufficializzato ciò che tutti sapevano, e cioè che la lista Rivoluzione civile non esiste più visti i differenti atteggiamenti dei soci fondatori (Pdci e Prc) sui rapporti con il centrosinistra.
Ad ascoltare e intervenire anche due «dissidenti» del Pd come Beppe Civati e Sergio Cofferati. Nessuno dei due dice che uscirà dal partito, tutt'altro. Entrambi invece sembrano volersi giocare una partita congressuale che si annuncia all'arma bianca. ««Il Pd deve risolvere i suoi problemi ma è bello avere una persona di riferimento come Rodotà», dice l'ex capo della Cgil e anima del correntone Ds. «Credo sia inevitabile individuare un reggente, ora che il Pd non ha un segretario, assegnandogli quell'incarico fuori dallo statuto. Poi arriva il Congresso che, secondo me, deve essere anticipato». In ogni caso, avverte, «non si può derogare allo statuto per l'elezione del segretario, sarebbe un gravissimo errore». «Il Pd dovrebbe ascoltare di più i suoi elettori, e non mi riferisco solo alla questione del Quirinale», infierisce Crimi.
Insomma, sui democratici per un bel po' non si potrà fare granché affidamento, anche se qualcuno di loro di certo giocherà di sponda a sinistra. Dei due mesi che hanno cambiato l'Italia - dal 25 febbraio in cui sembrava che la sinistra avesse vinto al 25 aprile in cui è apparso all'orizzonte il governo Letta-Alfano - per ora resta solo Rodotà e la necessità di ripartire tutti insieme facendo quadrato.
Non sarà facile, non sarà breve
 
http://www.ilmanifesto.it

Nessun commento: