Il
giurista non non guiderà né parteciperà alla Convenzione per le
riforme, anzi, lancia una anti-Convenzione. Berlusconi vorrebbe
presiederla ma per Renzi e Fassina è inadatto. Il Pdl: non accettiamo
veti
Stefano Rodotà rovescia il tavolo della
Convenzione per le riforme apparecchiato da Pd e Pdl. Non solo non ha
alcuna intenzione di presiederla come ventilavano grillini e Sel ma la
giudica anche «un ri- schiosissimo attacco ai principi costituzionali».
Al teatro Eliseo di Roma, il convegno organizzato da Left, il
giurista interviene e smonta una per una le teorie dei novelli padri
costituenti. «La Convenzione - spiega Rodotà - è un cattivo servizio
alla politica costituzionale, è l'opposto di quello che si dovrebbe
fare. Non solo non la voglio guidare ma mi auguro proprio che non
funzioni, anzi, ci organizziamo in un'anti-Convenzione». Del resto «il
Parlamento le riforme costituzionali quando ha voluto è stato in grado
di farle», per esempio con il nuovo titolo V, il pareggio di bilancio
(articolo 81), il giusto processo, la «devolution» di Lorenzago bocciata
dal referendum. Da candidato al Quirinale il professore emerito non si
sottrae al ruolo di «federatore» ombra, come collante culturale di ciò
che resta della sinistra (parola che non cita mai direttamente, anche
per non irritare i 5 stelle, presenti all'appuntamento). «Se vogliamo
ricostruire non possiamo escludere nessuno - spiega Rodotà indicando nei
parlamentari pentastellati - una nuova forza parlamentare che ha la
voglia di imparare come si fa politica». Più che la sinistra-sinistra,
appunto, in sala c'è l'embrione dell'opposizione politica al governo
Pd-Pdl: Vito Crimi (M5S), Gennaro Migliore (Sel). E anche Antonio
Ingroia, che ieri ha ufficializzato ciò che tutti sapevano, e cioè che
la lista Rivoluzione civile non esiste più visti i differenti
atteggiamenti dei soci fondatori (Pdci e Prc) sui rapporti con il
centrosinistra.
Ad ascoltare e intervenire anche due
«dissidenti» del Pd come Beppe Civati e Sergio Cofferati. Nessuno dei
due dice che uscirà dal partito, tutt'altro. Entrambi invece sembrano
volersi giocare una partita congressuale che si annuncia all'arma
bianca. ««Il Pd deve risolvere i suoi problemi ma è bello avere una
persona di riferimento come Rodotà», dice l'ex capo della Cgil e anima
del correntone Ds. «Credo sia inevitabile individuare un reggente, ora
che il Pd non ha un segretario, assegnandogli quell'incarico fuori dallo
statuto. Poi arriva il Congresso che, secondo me, deve essere
anticipato». In ogni caso, avverte, «non si può derogare allo statuto
per l'elezione del segretario, sarebbe un gravissimo errore». «Il Pd
dovrebbe ascoltare di più i suoi elettori, e non mi riferisco solo alla
questione del Quirinale», infierisce Crimi.
Insomma, sui democratici per un bel po' non
si potrà fare granché affidamento, anche se qualcuno di loro di certo
giocherà di sponda a sinistra. Dei due mesi che hanno cambiato l'Italia -
dal 25 febbraio in cui sembrava che la sinistra avesse vinto al 25
aprile in cui è apparso all'orizzonte il governo Letta-Alfano - per ora
resta solo Rodotà e la necessità di ripartire tutti insieme facendo
quadrato.
Non sarà facile, non sarà breve
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