Cambiamento,
discontinuità, lavoro. Sono le parole più gettonate della giornata di
sciopero generale territoriale promossa dalla Cgil di Brescia.
Tre
presidi – la Filcams all'Esselunga di via Volta, i pensionati in
stazione, la Funzione pubblica all'ospedale – e un corteo dei lavoratori
e delle lavoratrici Fiom dall'Om Iveco (con delegazioni da diverse
fabbriche lombarde) hanno aperto la mattinata. Insieme, da piazzale
Cesare Battisti, in migliaia hanno manifestato fino a piazza Loggia.
Tantissimi
gli striscioni delle aziende metalmeccaniche bresciane in sciopero, e
folta la presenza anche dei lavoratori e delle lavoratrici delle altre
categorie, tra i quali una numerosa rappresentanti di addetti della Tnt.
Damiano
Galletti, segretario generale della Camera del lavoro di Brescia,
riprende i punti della piattaforma dello sciopero, la declinazione
locale del «Piano per il lavoro della Cgil»: il no ai licenziamenti,
l'estensione dei contratti di solidarietà, i fondi urgenti per la cassa
in deroga e gli esodati innanzitutto. E poi il tema pensioni, una
partita da rivedere perché «è inammissibile che chi abbia iniziato a
lavorare a 16 anni anni debba restare in fabbrica fino a 65».
«In
una realtà come quella bresciana, e non solo – aggiunge - il
risanamento ambientale è un tema centrale. Tutela del territorio,
efficienza energetica, bonifica dei terreni e gestione dei rifiuti,
depurazione delle acque possono essere un nuovo modo di interpretare lo
sviluppo della nostra provincia contrastando la grave crisi economica e
producendo nuova occupazione». Servono anche risorse e un fisco equo:
«Badate, pensare di continuare a prendere i soldi dai soliti noti,
dipendenti e pensionati, non regge più».
«Noi
vogliamo un Piano per il lavoro territoriale – ha fatto sintesi -: che
difenda il lavoro che c'è, che aiuti i lavoratori e le lavoratrici in
difficoltà, che inizi a costruire un futuro diverso. Anche noi siamo per
un governo, che deve essere però di cambiamento per davvero: tutti si
preoccupano oggi di questi 50 giorni, ma è cinque anni che siamo in
realtà fermi. E con ben poche voci che si sono alzate contro. Noi, a
dire che la situazione di crisi era pesante, abbiamo iniziato a dirlo
nel 2008. E questo mentre il governo Berlusconi, ben sostenuto da un
ampio ventaglio di forze sociali, negava la gravità della crisi e ha
continuato a farlo fino a fine 2011».
Ibrahima
Niane (Fillea Cgil) ricorda che nell'edilizia bresciana, oggi, c'è la
metà degli addetti del 2008. «Eppure si può ripartire, cambiando il
modello di sviluppo e mettendo in sicurezza il territorio».
Pierluigi
Cetti (Spi Cgil) si sofferma sulla parola discontinuità rispetto al
rigore e in favore di sviluppo ed equità sociale: «Abbiamo bisogno di un
governo, è indubbio, ma non di un governo qualsiasi». Servono
generazioni unite, «perché dalla crisi si esce insieme». Ricorda i
redditi da pensione, che in pochi anni hanno perso il 30 percento del
potere d'acquisto.
Elisabetta
Dominghini (Studenti Per, universitari) denuncia in modo appassionato i
tagli alla cultura e all'istruzione, risposta «vergognosa» a «una crisi
che non è solo economica, ma anche culturale e di democrazia».
Maria
Grazia Gabrielli, segretaria nazionale della Filcams Cgil (commercio e
servizi) osserva che la «responsabilità», così di moda in questo
periodo, la si chiede solo agli altri e mai per se stessi: «ma
responsabilità è dire no ai licenziamenti, estendere i contratti di
solidarietà, uscire dalle ricette di austerità». «Bisogna cambiare il
paradigma – aggiunge -, serve un progetto per salvaguardare il bene
comune».
Carlo
Foloni (Rsu Sia) ricorda la vicenda dell'accordo separato «a perdere»
sottoscritto da Cisl e Uil nell'azienda di trasporto e «che ha
smantellato sessant'anni di storia aziendale».
Maurizio
Landini, il segretario nazionale generale della Fiom, si riallaccia
alle situazioni descritte: «Due anni fa
avevano raccontato che il caso
di Pomigliano era eccezionale: oggi vediamo che quell'idea autoritaria è
stata estesa non solo a tutto il gruppo Fiata ma anche in tanti altri
settori». «Gli accordi separati esistono – ribadisce - perché c'è la
possibilità per le aziende di scegliersi i sindacati che vogliono: serve
un accordo sulla rappresentanza, dove si conta per quello che si vale.
La piattaforma e gli accordi devono essere approvati dalla maggioranza
in modo libero e senza ricatti. Non un favore alla Cgil, ma un diritto
dei lavoratori». Da parte sua anche un auspicio: «Che il prossimo
presidente della Repubblica non sia solo garante della costituzione, ma
la faccia applicare: perché oggi la nostra non è più una Repubblica
basata sul lavoro, ma sullo sfruttamento del lavoro»
dal sito della camera del lavoro di Brescia
1 commento:
Ma dov'è il guru?
XDDDDD
ciao Guru
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