Battono alla porta di casa, poco prima dell’alba e fanno
irruzione dentro. Le modalità con cui i servizi di sicurezza egiziani –
il Mukhabarat – hanno prelevato decine, centinaia di giornalisti,
avvocati, attivisti dei diritti umani è lo stesso di sempre, quello
delle dittature. Il copione si è ripetuto per diverse notti e albe tra
giovedì e lunedì. Arresti preventivi e non per ostacolare le proteste di
massa contro l’omaggio dell’Egitto al nuovo potente alleato: le due
isolette Tiran e Sanafir cedute all’Arabia Saudita come pegno dei più
stretti legami di cooperazione sigillati a metà aprile dalla visita di
re Salman Saud.
Molte delle persone finite nelle retate però avevavo anche a che fare
con la morte di Giulio Regeni. Oppositori, come i ragazzi del Movimento
6 aprile – culla della rivolta di piazza Tahrir – catturati dalla
polizia ai tavoli del caffé Casablanca accusati di «destabilizzazzione
della sicurezza del paese» e diffusione di notizie false sui social
network.
Ieri la famiglia Regeni si è detta «angosciata» per l’arresto, tra i
tanti, di Ahmed Abdallah che oltre ad essere presidente della
Commissione egiziana per i diritti e le libertà, una ong che denuncia in
particolare gli arresti arbitrari e le sparizioni forzate, è anche
consulente degli avvocati della famiglia Regeni per le indagini sulla
morte di Giulio.
Ahmed Abdallah non è dunque solo un attivista tra i tanti. La legale
Alessandra Ballerini conferma il rapporto di fiducia con Abdallah e il
suo arresto nella notte tra domenica e lunedì. Pare sia stato prelevato
dal suo appartamento di Heliopolis, sobborgo residenziale del Cairo,
dalle forze speciali, così risulta ad Amnesty.
Ciò che angoscia di più la famiglia Regeni sono le accuse che gli
vengono addebitate – legate alla nuova legge anti terrorismo – in base
alle quali Abdallah rischia addirittura la pena di morte.
Secondo il sito Aswat Masriya il consulente dei genitori di Giulio è
accusato di istigazione alla violenza per rovesciare il governo e la
Costituzione, adesione a un gruppo terroristico e partecipazione ad
attacchi contro la polizia. Tutte accuse che se venissero confermate in
un procedimento penale potrebbero portarlo ad anni e anni di carcere o
all’impiccagione.
Il presidente della Commissione per i diritti e la libertà non è
l’unica voce critica finita nelle maglie del regime in occasione delle
manifestazioni contro la dismissione delle isole sul mar Rosso a
vantaggio dei nuovi protettori di al Sisi.
Le proteste erano state organizzate nel giorno della celebrazione
della liberazione del Sinai dalle forze militari israeliane nell’82,
domenica scorsa. Venerdì all’alba sarebbe stato prelevato dal suo
appartamento a Giza anche Haytham Mohamadeen, avvocato del lavoro, in
contatto con i sindacati egiziani, gli stessi su cui si concentravano le
ricerche di Giulio Regeni.
Secondo quanto ha denunciato l’avvocato e attivista per i diritti
umani Malek Adly sabato mattina, il collega sarebbe stato accusato di
essere affiliato ai Fratelli musulmani, organizzazione vietata dal 25
dicembre 2013, cioè dal colpo di stato di al Sisi contro l’unico
presidente eletto della storia egiziana, il pur contestatissimo Mohamed
Morsi.
L’avvocato Adly precisava via twitter che Haytham Mohamadeen è
piuttosto un uomo di sinistra, socialista, non un fratello musulmano. A
Mada Masr, un sito indipendente, Adly faceva sapere che altri 13
attivisti erano stati arrestati nei giorni precedenti al Sinai
Liberation Day nella cittadina di Nasr e ora sotto processo alla corte
penale di Al-Abbassiya.
Poco dopo queste sue dichiarazioni Adly è stato arrestato a sua
volta. E anche lui è collegato all’orrenda morte di Giulio. Era stato
proprio Adly, infatti, il primo a interessarsi alla scomparsa del
giovane ricercatore italiano e a denunciare i molti casi di sparizioni
forzate ad opera delle forze di polizia. «Mentire e cercare di
discolparsi», aveva detto allora, è il primo approccio degli apparati di
al Sisi in questi casi.
Alla famiglia Regeni non è sfuggito il f ilo rosso che lega queste
storie, esprime infatti «preoccupazione per la recente ondata di arresti
in Egitto ai danni di attivisti dei diritti umani, avvocati,
giornalisti anche direttamente coinvolti nella ricerca della verità
circa il sequestro, le torture e l’uccisione di Giulio».
Anche la famosa giornalista Basma Mostafa, impegnata nelle indagini
su Regeni, è stata arrestata il 25 insieme ad altri sette colleghi . Lei
è stata rilasciata, così come è stato liberato il corrispondente
dell’agenzia Reuters Michael Giorgy, gli altri reporter francesi e della
Bbc. Ma il presidente dell’Unione dei cronisti egiziani, Yahya Qalash,
ieri ha presentato una denuncia alla procura generale contro il ministro
degli Interni Magdy Abdel-Ghaffar per le violazioni della libertà di
espressione e l’assalto della polizia, domenica, alla sede dell’Unione
giornalisti al Cairo, filmato in un video.
Khaled El-Balshy, capo del comitato di libertà del sindacato, ha
detto Ahram online che 43 giornalisti sono stati arrestati in questi
giorni e sette sono ancora in stato di detenzione.
Secondo l’ong Freedom for Brave in tutto sono stati 239 gli arresti
fino a lunedì. La deputata cristiano copta Margaret Azer si è impegnata a
portare il caso Regeni, le violazioni dei diritti umani e gli arresti
di massa per le proteste sulle isole in Parlamento.
Ma già il regime sta provvedendo a difendere la propria immagine: il
presidente della Commissione parlamentare diritti umani Mohamed Anwar
Sadat ha annunciato un suo «tour» che toccherà la sede Onu a Ginevra, il
Congresso Usa e il Parlamento italiano. Sempre che Roma lo accolga.
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