LICENZIAMENTI ARBITRARI, NUOVA CONDANNA PER LA FIAT: REINTEGRATO UN ALTRO OPERAIO CUI L’AZIENDA DOVRA’ RISARCIRE 250.000 EURO
Con ripetute sentenze i giudici del lavoro hanno in questi mesi condannato la Fiat Pomigliano a reintegrare tre operai ingiustamente licenziati, nonché un altro della G.M. Sinter di Arzano (dell’indotto Fiat). Questa volta - sull’ennesimo caso - si è pronunciata la Corte di Appello di Napoli, giudici Umberto Marconi, Giovanna M. Rossi, Antonietta Savino che, in accoglimento del ricorso presentato dall’avv. Giuseppe Marziale per l’ufficio legale dello Slai cobas (e riformando la precedente sentenza di primo grado del Tribunale di Nola che lo scorso giugno 2009 dava inopinatamente ragione alla Fiat) ha ordinato la “immediata reintegrazione di Russo Pasquale e condannato la Fiat al pagamento delle retribuzioni maturate dalla data del licenziamento (20 febbraio 2004) oltre agli accessori di legge e alla ricostruzione dei contributi previdenziali”.
Pasquale Russo, operaio, 41 anni e residente a Casoria, assunto alla Fiat Pomigliano dal maggio 1990, aveva cominciato, negli anni, a soffrire di acute patologie osteo-muscolari da sforzo prolungato tipiche degli addetti alle catene di montaggio. Aveva esibito certificazioni mediche e richiesto di essere sottoposto a giudizio di idoneità per essere spostato a mansioni adatte. Richieste rimaste inascoltate dall’azienda. Ciononostante, e venendo meno all’obbligazione di sicurezza e tutela della salute, la Fiat continuava ad impiegarlo al montaggio lastrosaldatura del modello Alfa 147, dove l’operaio, piegato, doveva spalmare il sigillante sottoscocca a 230 vetture, con una scocca lavorata ogni due minuti. Il Russo, essendo divenuta insopportabile la condizione lavorativa, si rivolse poi allo Slai cobas che nel settembre 2003 e poi in novembre 2003 intimava al medico competente l’accertamento dell’idoneità alla mansione, eccependo la violazione dei ritmi di lavoro massimi previsti nella postazione. Il 27 novembre 2003, i sanitari di fabbrica rilasciarono a Pasquale Russo il giudizio di inidoneità alla mansione. A tal punto la Fiat, costretta a togliere il lavoratore dalla catena di montaggio per le prescrizione degli stessi medici aziendali collocò l’operaio in totale inattività a fianco della scrivania del caposquadra (sig. Gennaro De Sena) per essere da questi “controllato” per l’intero turno di lavoro e vietandogli sia di spostarsi che di parlare con gli altri lavoratori: una gravissima condotta palesemente illecita - oltre che illegittima - in evidente e reiterata manifestazione di mobbing.
Poi, il 20 gennaio 2004, la Fiat contestò al lavoratore di …”aver abbandonato il posto di lavoro per 40 minuti senza autorizzazione” e non accogliendo le giustificazioni fornitegli e cumulando il procedimento disciplinare con precedenti ed illegittime sanzioni, il 20 febbraio 2004 lo licenziava. Oltre che a dimostrare che l’abbandono del posto di “lavoro” del sig. Russo durò circa 5 minuti e non i 40 sostenuti dalla Fiat, nel ricorso presentato dal lavoratore è stato, tra l’altro, ribadito che… “a meno che di non assecondare le illecite e discriminanti condotte aziendali, nessun ‘abbandono del posto di lavoro’ era contestabile perché l’azienda non gli aveva assegnata alcuna mansione e postazione lavorativa, rifiutando di spostarlo a compiti diversi, e ciò con premeditata strumentalità dimostrata dalle umilianti condizioni nelle quali la Fiat pretendeva di tenerlo.
UNA SENTENZA QUESTA, CHE DOVRA’ SERVIRE DI MONITO A MARCHIONNE E A QUANTI GIA’, SINDACALISTI E POLITICI, SI SONO SCHIERATI CON LUI PRETENDENDO IL DRASTICO PEGGIORAMENTO DELLA GIA’ INSOSTENIBILE CONDIZIONE OPERAIA.
S.L.A.I. COBAS
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