martedì 2 novembre 2010

SOTTO L'ULIVO NON C'È RIPARO PER GLI OPERAI

Mario Pirani ci spiega, su la Repubblica di ieri, «perché Prodi e Marchionne hanno le stesse idee sulla Fiat», idee che, of course, anche l'editorialista caldeggia convintamente.

La tesi che vi si trova riassunta è molto semplice: l'amministratore delegato della Fiat non racconta balle, come cialtroneggia la Fiom, e non è affatto un satrapo; semplicemente, egli prende atto delle condizioni imposte dalla globalizzazione e propone, né più né meno, che i modi dell'operazione di salvataggio andati a buon fine con la Chrysler e salutati con sperticate lodi da Barak Obama, siano accettati senza piagnistei anche in Italia. Anzi - puntualizza Pirani - il modello proposto da Marchionne per l'Italia sarebbe molto più vantaggioso per i lavoratori di quello coniato per Detroit. Perché mentre agli operai statunitensi è stata imposta una riduzione del salario del 20% oltre ad ulteriori decurtazioni del contributo aziendale al fondo sanitario dei pensionati; mentre il sindacato americano ha accettato una moratoria sugli scioperi sino al 2015, la soluzione campana assicurerebbe ai lavoratori più salario, purché essi accettino di lavorare il sabato e la domenica e si assoggettino al Wcm, la nuova metrica che satura ogni frazione di tempo, aumentando la produttività del lavoro, più prosaicamente conosciuta come "olio di gomito".

Quanto agli scioperi, secondo gli occhiali di Pirani, la sola preclusione imposta dalla Fiat riguarderebbe il fine settimana.

Dunque, non si capirebbe proprio di cosa abbiano a lamentarsi gli operai italiani, che dovrebbero anzi abbracciare Marchionne come un salvatore, considerato che gli stabilimenti ubicati nello stivale rappresenterebbero nient'altro che una palla al piede per il gruppo torinese, oggi divenuto multinazionale senza più vere radici nel nostro Paese. Insomma - conclude Pirani - se si vuole che sopravviva, in Italia, un'industria dell'auto, le condizioni sono queste. Il "prendere o lasciare" di Marchionne non sarebbe dunque un atto di protervia, di prepotenza, ma di sano realismo.

Ora, chi fra i dipendenti Fiat avesse letto questo edificante riassuntino di Pirani, non si raccapezzerebbe più, tanto caricaturale ed omissiva è la descrizione del dictat di Pomigliano che, detto per inciso, Marchionne non considera neppure la tappa conclusiva delle deroghe contrattuali che potranno rendersi necessarie in altri segmenti dell'arcipelago Fiat.
Liberazione ha ampiamente dato conto dei termini reali di quell'editto, dei tagli delle pause, delle penalizzazioni economiche in caso di malattia, della trasformazione del diritto di sciopero in comportamento passibile dei più gravi provvedimenti disciplinari,
dell’intensificazione di ritmi di lavoro già spinti sino al limite della sopportabilità, causa di stress e di gravi compromissioni dello stato di salute, dettagliatamente raccontate per noi dall’operaio Antonio Di Luca nel giornale del 26 ottobre scorso

Quanto ai miserabili salari che si erogano in Fiat, Pirani ha dimenticato il taglio unilaterale del premio di risultato che Marchionne ha deciso di non corrispondere ai propri dipendenti, mentre contemporaneamente aumentava i propri lauti emolumenti e distribuiva dividendi agli azionisti. La sfida per la competitività di Marchionne consiste, al momento, soltanto in una stretta sul lavoro, nei termini più classici inscritti nel tradizionale conflitto di classe: salario, orario, ritmi e condizioni di lavoro, diritti individuali e collettivi, prerogative sindacali. Il resto è fumo.

Resta da spiegare, ma il tema è elegantemente rimosso da Pirani, perché in Germania, nell’industria dell’auto, a retribuzioni molto più alte, a condizioni di lavoro meno dure, a poteri sindacali più consistenti corrispondano solidità e competitività aziendali non comparabili con la situazione italiana.

Che poi Prodi – e certo non solo lui, nell’area del centrosinistra - la pensi così, dice solo quale ribollita ci somministrerebbe il cosiddetto riformismo quando dovesse tornare ad occuparsi, da posizioni di potere e forte di questa schietta propensione liberista, dei rapporti tra capitale e lavoro. Il fatto è, una volta di più, che se non sarà la sinistra ad occuparsene, non lo farà nessuno.

Dino Greco

Nessun commento: