18
novembre 2016 - I 420 mila lavoratori del tessile-abbigliamento tornano
a scioperare in difesa del contratto nazionale, scaduto più di sei mesi
fa e la cui trattativa con Smi-Confindustria per il rinnovo si è
bruscamente interrotta lo scorso 20 ottobre.Manifestazioni in tutta
Italia, quella principale a Milano, alla quale partecipa anche una
delegazione della Filctem Cgil di Brescia.
Al
centro del mirino di Filctem Cgil, Femca Cisl e Uiltec Uil c’è
l’indisponibilità delle controparti a rivedere l’impostazione sul
modello di individuazione ed erogazione degli incrementi salariali e per
le richieste normative tutte incentrate a comprimere i diritti e il
ruolo negoziale di sindacati e Rsu.
Filctem, Femca e Uiltec sottolineano come l'obiettivo degli industriali sia, anzitutto, l’accentramento nel contratto nazionale di ogni norma in materia di organizzazione del lavoro, attraverso una revisione che nega la contrattazione aziendale e il decentramento al secondo livello di orari e classificazione, come invece attualmente previsto. I sindacati rifiutano anche le richieste delle controparti di ridurre le ferie degli impiegati, di recepire pienamente il Jobs Act, di disimpegnarsi sul nuovo sistema classificatorio (il cosiddetto “inquadramento”), di intervenire in maniera peggiorativa sui tre giorni di carenza per malattia (ora retribuiti al 50 per cento), sulla legge 104 e sullo straordinario individuale volontario.
I sindacati contestano, infine, la proposta delle imprese di distribuire il salario solo “ex-post”, cioè al termine della vigenza contrattuale, quindi senza adeguare i minimi contrattuali (ossia le paghe orarie e le quote contributive per la pensione). La verifica dell’inflazione verrebbe dunque fatta alla fine, invece di anticiparla nell'aumento in busta paga come prevede l'attuale modello contrattuale. Una richiesta inaccettabile per Filctem, Femca e Uiltec, soprattutto in considerazione dei già bassi salari dei lavoratori (di cui il 90 per cento donne) del tessile-abbigliamento. E dei buoni risultati del settore, che vede il fatturato complessivo in lieve crescita e la nutrita presenza di queste aziende nella classifica dei primi 50 gruppi aziendali (per fatturato).
“In un comparto dove la contrattazione di secondo livello, per cultura e per dimensione aziendale, stenta ad affermarsi, è irrinunciabile il ruolo regolatore e l’autorevolezza salariale del contratto nazionale” hanno spiegato i segretari nazionali Stefania Pomante (Filctem), Mario Siviero (Femca) e Riccardo Marcelli (Uiltec): “L’atteggiamento di Smi-Confindustria, inoltre, evidenzia la volontà di negare diritti come strumento prevalente a garantire competitività alle aziende”. Per gli esponenti sindacali la controparte “sembra interessata esclusivamente a ridurre diritti e salari attraverso l’affermazione di un modello contrattuale che definisca ex post i minimi e non dia all’atto della sottoscrizione alcuna certezza previsionale”.
Filctem, Femca e Uiltec sottolineano come l'obiettivo degli industriali sia, anzitutto, l’accentramento nel contratto nazionale di ogni norma in materia di organizzazione del lavoro, attraverso una revisione che nega la contrattazione aziendale e il decentramento al secondo livello di orari e classificazione, come invece attualmente previsto. I sindacati rifiutano anche le richieste delle controparti di ridurre le ferie degli impiegati, di recepire pienamente il Jobs Act, di disimpegnarsi sul nuovo sistema classificatorio (il cosiddetto “inquadramento”), di intervenire in maniera peggiorativa sui tre giorni di carenza per malattia (ora retribuiti al 50 per cento), sulla legge 104 e sullo straordinario individuale volontario.
I sindacati contestano, infine, la proposta delle imprese di distribuire il salario solo “ex-post”, cioè al termine della vigenza contrattuale, quindi senza adeguare i minimi contrattuali (ossia le paghe orarie e le quote contributive per la pensione). La verifica dell’inflazione verrebbe dunque fatta alla fine, invece di anticiparla nell'aumento in busta paga come prevede l'attuale modello contrattuale. Una richiesta inaccettabile per Filctem, Femca e Uiltec, soprattutto in considerazione dei già bassi salari dei lavoratori (di cui il 90 per cento donne) del tessile-abbigliamento. E dei buoni risultati del settore, che vede il fatturato complessivo in lieve crescita e la nutrita presenza di queste aziende nella classifica dei primi 50 gruppi aziendali (per fatturato).
“In un comparto dove la contrattazione di secondo livello, per cultura e per dimensione aziendale, stenta ad affermarsi, è irrinunciabile il ruolo regolatore e l’autorevolezza salariale del contratto nazionale” hanno spiegato i segretari nazionali Stefania Pomante (Filctem), Mario Siviero (Femca) e Riccardo Marcelli (Uiltec): “L’atteggiamento di Smi-Confindustria, inoltre, evidenzia la volontà di negare diritti come strumento prevalente a garantire competitività alle aziende”. Per gli esponenti sindacali la controparte “sembra interessata esclusivamente a ridurre diritti e salari attraverso l’affermazione di un modello contrattuale che definisca ex post i minimi e non dia all’atto della sottoscrizione alcuna certezza previsionale”.
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