Dal 30 novembre
all’11 dicembre 195 paesi hanno discusso un nuovo accordo per ridurre le
emissioni, in modo da rallentare il riscaldamento globale.
Rispetto a quello che
avrebbe potuto essere, è un miracolo. Rispetto a quello che avrebbe dovuto
essere, è un disastro.
Nel ristretto ambito in cui si sono svolti
i colloqui, l’accordo approvato dalla conferenza Onu sul clima di Parigi è un
grande successo. Il sollievo e l’autocompiacimento con cui è stato accolto il
testo confermano il fallimento del vertice di Copenaghen di sei anni fa, in cui
i negoziati si protrassero ben oltre i tempi previsti per poi finire nel nulla.
L’accordo sul tetto fissato per il riscaldamento globale (”ben al di sotto dei
2 gradi centigradi”, si legge nel
testo adottato), dopo che per tanti anni questa richiesta era stata
respinta, può essere visto come una clamorosa vittoria. Da questo e altri punti
di vista, il documento finale è più forte di quanto molti si aspettassero.
Ma appena si esce da questo ambito ristretto, le cose appaiono in
modo diverso. Dubito che qualcuno dei negoziatori sia veramente
convinto che grazie a questi colloqui il riscaldamento globale si manterrà al
di sotto dei due gradi. Considerate le deboli promesse che hanno fatto i
governi a Parigi, perfino due gradi sono un obiettivo ambizioso. Sebbene alcuni
paesi abbiano negoziato in buona fede, probabilmente il vero risultato del
vertice sarà comunque un cambiamento climatico pericoloso per tutti e letale
per alcuni.
Con un aumento delle temperature di 2 gradi, ampie
regioni diventeranno meno abitabili
I nostri governi si
preoccupano tanto di non oberare di debiti le prossime generazioni, ma hanno
appena deciso di lasciare loro un’eredità ancora più pericolosa: l’anidride
carbonica prodotta dal protrarsi dell’uso dei combustibili fossili, e le
conseguenze a lungo termine che questo avrà sul clima del pianeta.
Con un aumento delle
temperature di 2 gradi, ampie regioni della superficie terrestre diventeranno
meno abitabili, e probabilmente le loro popolazioni saranno colpite da fenomeni
estremi: periodi di siccità più lunghi in alcune zone, e inondazioni devastanti
in altre, che potrebbero influire notevolmente sull’approvvigionamento
alimentare. In molte parti del mondo, isole e zone costiere rischieranno di
essere inghiottite dalle onde.
La combinazione tra l’acidificazione degli oceani,
l’estinzione dei coralli e lo scioglimento dei ghiacci dell’Artide potrebbe
comportare la scomparsa di intere catene alimentari marine. Sulla terra, le
foreste pluviali potrebbero recedere, i fiumi prosciugarsi e le zone desertiche
espandersi. Il marchio della nostra era potrebbero essere le estinzioni di
massa.
Il vertice di Parigi è il migliore che ci sia mai
stato: questa è un’accusa terribile
Questi saranno i
risultati di quello che i delegati di Parigi hanno definito un successo. E
invece, è ragionevolmente prevedibile che si dimostri un fallimento. Mentre
nelle prime stesure dell’accordo si specificavano date e percentuali, il testo
definitivo mira soltanto a “raggiungere al più presto possibile il picco
globale delle emissione di gas serra”. Il che può significare tutto e niente.
A dire la verità, la
colpa di questo fallimento non andrebbe attribuita a Parigi, ma all’intero
processo. Il tetto di due gradi che oggi è un obiettivo improbabile da
raggiungere, all’epoca della prima conferenza delle Nazioni Unite sul
cambiamento climatico che si svolse a Berlino nel 1995 era perfettamente
raggiungibile. Vent’anni di rinvii, dovuti alle manovre – palesi, segrete e
spesso decisamente sinistre – della lobby dei combustibili fossili, alle quali
si è aggiunta la riluttanza dei governi a spiegare al loro elettorato che le
decisioni a breve termine hanno un costo a lungo termine, hanno fatto in modo
che la finestra delle opportunità sia ormai chiusa per tre quarti.
Il vertice di Parigi è
il migliore che ci sia mai stato. E questa è un’accusa terribile.
Per quanto i suoi risultati costituiscano un passo
avanti importante rispetto a tutto quello che è successo prima, l’accordo che
ne è uscito è ridicolo. Mentre in genere i negoziati sui rischi globali cercano
di affrontare tutti gli aspetti del problema, quelli sul clima si sono
concentrati esclusivamente sul consumo di combustibili fossili, senza tener
conto della loro produzione.
I delegati si congratulano per un accordo migliore di
quanto si aspettassero, ma dovrebbero anche scusarsi con chi hanno tradito
Mentre a Parigi, i
delegati si sono solennemente impegnati a ridurre la domanda, a casa loro i
governi continuano ad aumentare la produzione. Quello britannico si è perfino
imposto l’obbligo, in base alla legge sulle infrastrutture del 2015, di
“sfruttare al massimo il petrolio e il gas del Regno Unito”. L’estrazione dei
combustibili fossili è un fatto concreto. Ma l’accordo di Parigi è pieno di
fatti molto meno concreti, di promesse che possono non essere mantenute o fatte
slittare. Finché i governi non si impegneranno a lasciare i combustibili
fossili dove sono, continueranno a vanificare l’accordo che hanno appena
stretto.
Con Barack Obama alla
Casa Bianca e un governo dirigista a presiedere i negoziati di Parigi, questo
era il massimo che si potesse ottenere. Nessuno dei probabili successori
dell’attuale presidente degli Stati Uniti mostrerà mai lo stesso impegno. In
paesi come il Regno Unito, le grandi promesse fatte all’estero saranno
vanificate dai meschini tagli alle spese operati all’interno. Qualsiasi cosa
succederà adesso non farà certo piacere alle prossime generazioni.
I delegati si
congratulano con se stessi per aver raggiunto un accordo migliore di quanto si
aspettassero, ma dovrebbero anche scusarsi con tutti quelli che hanno tradito.
(Traduzione di Bruna Tortorella)
Questo articolo è stato pubblicato sul quotidiano
britannico The Guardian.
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