
Scompensi organizzativi - La Suprema Corte ha condiviso le conclusioni dei giudici del merito, rilevando che le assenze, «per le modalità con cui si verificavano», per «un numero esiguo di giorni, due o tre, reiterate all’interno dello stesso mese e costantemente ’agganciate' ai giorni di riposo del lavoratore» (fino a raggiungere anche 520 ore in un anno) «davano luogo - si legge nella sentenza - ad una prestazione lavorativa non sufficientemente e proficuamente utilizzabile per la società, rivelandosi la stessa inadeguata sotto il profilo produttivo e pregiudizievole per l’organizzazione aziendale così da giustificare il provvedimento risolutorio». Le assenze in questione, continua la Cassazione, davano anche «luogo a scompensi organizzativi»: «comunicate all’ultimo momento», infatti, «determinavano la difficoltà, proprio per i tempi particolarmente ristretti, di trovare un sostituto», osservano gli ’alti' giudici, anche considerato che il lavoratore «risultava assente proprio allorchè doveva effettuare il turno di fine settimana o il turno notturno, il che causava ulteriore difficoltà nella sostituzione (oltre che malumori nei colleghi che dovevano provvedere alla sostituzione), ciò anche in ragione del verificarsi delle assenze ’a macchia di leopardo'». Per la Corte, dunque, la «censura delle non irrogabilità del licenziamento» nei casi in cui non sia stato superato il periodo di comporto è «priva di fondamento»: la «malattia - concludono i giudici di ’Palazzaccio' - non viene in rilievo di per sè, ma in quanto le assenze in questione, anche se incolpevoli, davano luogo a scarso rendimento e rendevano la prestazione non più utile per il datore di lavoro, incidendo negativamente sulla produzione aziendale».
Dovrebbe pagare anche il medico dell'inps
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