
Nel caso di Brescia, la miccia è stata innescata dall’ennesima situazione di
crisi presso la Mac, società del gruppo Magnetto, che nel 1999 è stata
destinataria di una delle prime operazioni di esternalizzazione di Iveco: ad
essa è stata assegnata l’attività di stampaggio lamiere. Ovviamente non si è
trattata di una operazione indolore per il ramo industriale del Gruppo Fiat: di
conseguenza gli operai bresciani con oltre 40 ore di sciopero hanno portato a
casa un accordo finalizzato a tutelare i livelli occupazionali attraverso un
preciso impegno di Iveco. Inoltre l’accordo ha disciplinato il trasferimento di
ramo di impresa, prevedendo l'armonizzazione della situazione retributiva e
normativa del personale di Iveco trasferito alla Mac, ma soprattutto stabilendo
in capo a Iveco l’obbligo di riassorbire i lavoratori trasferiti nel caso in
cui si fossero manifestate situazioni di difficoltà produttive e occupazionali
presso le attività esternalizzate. Si è trattato di un accordo importante
perché ha rappresentato la base per gli accordi che successivamente
riguarderanno altri reparti esternalizzati, come la Fenice, il reparto Plastica
o la Manutenzione ceduta a Comau. La conferma del carattere strategico, per il
Gruppo Fiat, dei processi di esternalizzazione di funzioni produttive – attuata
in più stabilimenti – viene affermata già nelle premesse dell’Accordo del ’99:
“IVECO, anche per lo stabilimento di Brescia, intende effettuare le operazioni
di insourcing/outsourcing nell'ottica della partnership, mantenendo il governo
delle scelte strategiche per quanto concerne il prodotto… Nelle logiche prima
descritte, rientra il piano di insourcing/ outsourcing delle attività di
Stampaggio Lamiere, dell'Energia ed Ecologia, di GlobaI Service di
Manutenzione, della Plastica e delle attività di salvaguardia del patrimonio
aziendale e dell’antincendio”. Proprio per questo la Fiom ha inteso costruire
un quadro di tenuta a fronte di una volontà così forte da parte di Iveco di
riorganizzare la propria produzione attraverso lo strumento delle
esternalizzazioni. Gli accordi ottenuti dai lavoratori sembravano funzionare:
Iveco intervenne nel 2006/2007 assumendo 90 lavoratori della Mac a seguito di
una procedura di mobilità, così come intervenne nel periodo 2009/2012 assumendo
30 lavoratori. Dei 153 lavoratori trasferiti alla Mac, a seguito delle crisi
produttive e occupazionali e dei riassorbimenti in Iveco, sono rimasti 84.
Nessuno di questi passaggi venne “regalato” ai lavoratori: in tutte le
occasioni, per ottenere il rispetto di quanto sottoscritto, si resero necessari
diversi scioperi ed una vertenza come quella del 2009 con 76 giorni di
presidio. La situazione precipita in autunno. L’11 ottobre, infatti, scadono i
termini della CIG alla quale si era ricorsi per gestire la crisi Mac del 2009.
La Fiom solleva il problema chiedendo l’apertura di un tavolo, al quale non si
presenterà mai il soggetto principale di tutta la vicenda: l’Iveco. L’iniziale
gestione della situazione di crisi da parte della Mac sembra abbastanza
“morbida”: non viene aperta la procedura di mobilità ma si ricorre all’utilizzo
delle ferie residue. Ma al tempo stesso le dichiarazioni dell’azienda non
lasciano spazio a mediazioni: le testuali parole della dirigenza Mac parlano di
"insostenibilità produttiva", di una "consistente e repentina
riduzione della domanda", dei "costi fissi troppo elevati". Con
queste parole viene ufficializzata la cessazione di ogni attività di stampaggio
lamiere all'interno dello stabilimento bresciano, per concentrare ogni lavorazione
presso la sede di Chivasso. Riparte, quindi, la lotta dei lavoratori bresciani,
con il blocco di tutto lo stabilimento Iveco; l’azienda mette in libertà tutto
il personale Iveco in quanto in fabbrica non entrano più materiali, per i
camion costretti a lunghe file dai picchetti su tutti i 5 cancelli. Il Prefetto
di Brescia cerca di definire, con azienda e sindacati, un percorso condiviso
per ridurre «l'impatto sui lavoratori del processo di ristrutturazione messo in
atto dalla Mac». Il percorso individuato prevede l'utilizzo degli
ammortizzatori sociali disponibili: sei mesi di cassa integrazione in deroga
all'esaurirsi della quale sarebbe iniziato un periodo, due anni, di cassa

straordinaria. Il problema è che questo piano non prevede nessuna garanzia
occupazionale: la Fiom aveva proposto l’utilizzo di 30 mesi di ammortizzatori
sociali articolati in 6 mesi di cassa in deroga, 12 mesi di Cigs più altri 12
mesi. Ad ogni passaggio di ammortizzatori però l’Iveco avrebbe dovuto assorbire
parte dei lavoratori trasferiti in Mac fino alla completa copertura di tutte le
posizioni lavorative. Invece la disponibilità dell’Iveco si era limitata al
riassorbimento soltanto di un numero di posizioni lavorative funzionali alle
proprie esigenze di organico: 3-4 posti sullo stabilimento di Bolzano e 1 per
Torino. Di fronte a questo bassissimo grado di rioccupazione dei lavoratori Mac
viene perciò convocata una assemblea ai cancelli dove viene distribuito il
testo della proposta definita in Prefettura. La risposta dei lavoratori non lascia
spazio a equivoci: all’unanimità dei presenti (64) viene bocciata la proposta e
altrettanto all’unanimità viene approvata la posizione della Fiom: i dipendenti
Mac «ribadiscono la validità degli accordi del 1999, del 2009 e del 2011 e gli
impegni che Mac e Iveco hanno assunto nei loro confronti ». Inoltre «ritengono
utile ricordare che la scelta di terziarizzare il reparto stampaggio lamiere è
stata una scelta di Iveco e che lo smantellamento definitivo del reparto era
stato collocato nell'ambito di una riorganizzazione aziendale che ha visto
Iveco occupare learee Mac liberate con la dismissione delle linee di
stampaggio». La soluzione di riassorbimento in capo a Iveco si rende
inevitabile per la Fiom, in quanto le aree progressivamente liberate dalla Mac
sono state occupate da attività logistiche (prevalentemente magazzino) di
Iveco, quindi in esse non si possono più svolgere attività produttive. La
vicenda Mac va inquadrata nell’ambito più generale della situazione di Iveco e
di tutta Fiat Industrial: per questo il 29 novembre la Fiom di Brescia ha
organizzato un primo momento di discussione tra i delegati di tutto il Gruppo,
che sta infatti conoscendo processi di riorganizzazione sia a livello
internazionale che in Italia. La riorganizzazione delle attività produttive di
Iveco è stata illustrata dall’Amministratore Delegato Alfredo Altavilla in
occasione della presentazione del nuovo Iveco Stralis: il manager ha spiegato
che cinque stabilimenti verranno chiusi in Europa entro la conclusione
dell’anno corrente e che quest’operazione coinvolgerà 1.075 lavoratori. La
chiusura riguarda gli stabilimenti della Francia (Chambery), quello austriaco
di Graz, quelli tedeschi di Goerlitz e Weisweill, mentre quello di Ulm verrà
riconvertito (non produrrà più mezzi pesanti) e diventerà un centro di
eccellenza per i mezzi anti-incendio, concentrando tutte le attività di questo
genere. Le chiusure seguono quelle avvenute durante lo scorso anno a Barcellona
e ad Avellino (lo stabilimento Irisbus che produceva autobus) e fanno parte di
un progetto di riorganizzazione delle attività produttive di Iveco. Il Paese in
cui Fiat Industrial sta investendo è la Spagna: sono previsti investimenti per
1,5 miliardi di euro, favoriti da una generosa politica di sgravi fiscali da
parte del Governo spagnolo. Al sostegno economico del Governo si è aggiunto
anche un accordo sul lavoro pesantissimo: per i turni “normali” (che terminano
alle 23) su otto ore vengono previste una sola pausa e la cancellazione della
mensa; con gli straordinari l’orario giornaliero può arrivare fino a 12 ore al
giorno e a 76 settimanali. In questo modo Iveco ha dunque deciso di concentrare
tutta l’attività del mezzo pesante a Madrid. Poiché le produzioni di Brescia
sono classificate tra quelle del veicolo “medio-pesante”, le sorti dello
stabilimento sono alquanto incerte. Il “pesante” ha già cessato la produzione
nel 2005, è rimasto soltanto il modello Eurocargo, i cui volumi con la crisi
del 2008/2009 sono drasticamente diminuiti: dai 25.000 veicoli del pre-crisi (che
rappresentano anche la capacità produttiva dello stabilimento) si è passati ai
10.000 del 2009, per tornare un po’ più su con il dato attuale di 15.000. Si
sono persi comunque due quinti di produzione: dal 2008 a Brescia si è fatto
massiccio ricorso agli ammortizzatori sociali, visto che gli attuali livelli di
produzione non consentono una saturazione occupazionale superiore alle 1.500
unità a fronte dei 2.400 dipendenti. Impossibile non temere che non ci siano
esuberi se non si mette mano alla missione produttiva dello stabilimento
bresciano. Le linee installate hanno una capacità di 138 veicoli al giorno:
attualmente funzionano a 110 ma con metà dell’attività (i lavoratori sono in
Contratto di Solidarietà), quindi a 55 veicoli/giorno. Un dato estremamente
basso. Anche presso lo stabilimento di Suzzara, dove si produce il Daily, non
mancano i problemi. L’applicazione del cosiddetto “regolamento Marchionne” ha
“cambiato il mondo” (come dicono i delegati dello stabilimento): non si è più
discusso di infortuni, gli RLS Fiom non sono più stati riconosciuti, tabelle e
tempi sono stati imposti dalla direzione senza nessun confronto, inoltre
l’organizzazione del lavoro ha cominciato a palesare grandi inefficienze, con
centinaia di “incompleti” dovuti alla mancanza di pezzi o a difetti dovuti ad
una organizzazione della produzione completamente sbagliata. Ma anziché mettere
mano all’organizzazione del lavoro la direzione aziendale ha pensato di
ricorrere a un ulteriore giro di vite, con lo spostamento della mensa a fine
turno e l’imposizione di straordinari al sabato. Questi elementi hanno fatto
scattare una scintilla: i lavoratori si sono rivolti alla Fiom che ha
organizzato gli scioperi per il sabato in maniera articolata (a volte al
mattino, a volte il pomeriggio): e se le adesioni fino a qualche mese fa, dopo
la “cura Marchionne”, erano del 15%, adesso sono schizzate all’80%. A Torino,

invece, si è assistito alla sostituzione di tutta la vecchia dirigenza (molto
legata alla mentalità Iveco) con nuovi giovani quadri che danno una immagine di
multinazionale al Gruppo. A Torino in Fiat Power Train si vive una situazione
di attesa; per alcuni prodotti (cambi, motori) la crisi non è stata avvertita
in maniera significativa, per altri (ponti assali), cioè quelli maggiormente
legati alle forniture dirette al Gruppo Fiat, si sono verificati i problemi
maggiori, con il maggior ricorso alla CIG. Ormai è molto cambiato il rapporto
tra produzioni per Fiat e quella per il mercato: da un rapporto 80%-20% si è
passati ad un 65%-35%. Ormai il 50% delle aree dello stabilimento è vuoto e si
teme la concorrenza di stabilimenti in Argentina e Cina che producono gli
stessi tipi di motori. Anche in questo sito le novità nell’organizzazione del
lavoro apportate hanno avuto effetti negativi: tenendo conto che nella
produzione motori Fiat Power Train si è concentrata solo sul core business (la
testa), tutte le altre componenti arrivano da fuori, caotizzando la situazione.
Il recente Piano Industriale del Gruppo Fiat presentato da Marchionne non dice
niente a proposito del veicolo industriale: l’unico obiettivo perseguito è
quello di carattere finanziario, con la fusione tra Fiat Industrial e Case New
Holland, onde arrivare ad unica società da registrare in Olanda (per ragioni
fiscali) e quotare a New York. E così, mentre i concorrenti si attrezzano e
investono (la Man prevede 50 miliardi nei prossimi anni), Fiat Industrial non
sa nemmeno su quali modelli puntare.
1 commento:
Sono pienamente d’accordo.
La vicenda Mac è diventata la punta dell'iceberg per quanto riguarda il problema occupazionale nell’interno del sito Iveco che, alla fine si rifletterà sui dipendenti dell'Iveco di Brescia e non solo.
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