L'ultimo paradosso della politica domestica riguarda le primarie: quelle
già annunciate (del Pd) e quelle altre (del Pdl) che potrebbero
tenersi, casomai Berlusconi decidesse di non tornare in pista. In
entrambi i casi, il rischio incombente è quello di una grande finzione,
di una ipocrita messinscena. Perché le primarie verranno indette per
chiedere al popolo di sinistra (e di destra) che si pronuncino sul
candidato premier; laddove è quasi certo che la scelta di chi guiderà il
governo alla fine non rispetterà le indicazioni della gente, ma ricadrà
sui partiti e sui rispettivi leader.
Questo accadrà non per malafede di Alfano, di Bersani o di Casini, ma
per effetto della legge elettorale che si va discutendo in Senato nella
noia e nella distrazione generali. Tra tutte le ipotesi di riforma sul
tappeto, nemmeno una al momento garantisce che la sera delle elezioni il
mondo sappia da chi verrà governata l'Italia. L'obiettivo del
centrodestra è, in questo momento, esattamente quello di impedire che
ciò accada. Per dimezzare la probabile vittoria delle sinistre, il Pdl
punta su un sistema proporzionale nemmeno troppo mascherato, con tanto
di preferenze come nella Prima Repubblica. Se passa, ritorniamo alle
vecchie pratiche dei governi di coalizione. Ma non è che le attuali
proposte del Pd lascino prevedere un esito molto diverso: il premio del
15 per cento, così come lo gradisce Bersani, garantirebbe una
maggioranza in Parlamento solo nel caso in cui la coalizione vincente
superasse il 35 per cento dei suffragi popolari. Questione di semplice
aritmetica. La circostanza è possibile, però alla luce dei sondaggi non
sembra così scontata.
Pd e Sel in questo momento viaggiano 3-4 punti sotto la soglia
necessaria, per garantirsi il premio dovrebbero bussare da Di Pietro,
oppure da Casini... Più facile che vi provvedano, eventualmente, dopo il
voto. Ma allora, fa notare Arturo Parisi, ex ministro del governo Prodi
e referendario intransigente, che senso ha accapigliarsi sulle regole
delle primarie, su chi deve prendervi parte, su chi può votare, se nel
contempo si negozia su una legge elettorale destinata a renderle vane? È
una domanda che in molti, ai vertici del Pd, si stanno ponendo.

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