Non sarà un soldato in più morto in Afghanistan a scoraggiare la passione civile che lo distingue dagli altri ministri: La Russa vuol far capire ai pensionati da 600 euro al mese e ai ragazzi call center che sì e no arrivano a 700 e agli operai benestanti con mille in busta paga, perché devono pagare 10 euro di ticket quando vanno dal dottore e 25 se “impropriamente corrono col mal di pancia al Pronto soccorso anziché scaldarsi una tisana a casa”. Stravaganze degli anziani, che sono tanti, ogni anno di più. Bisogna rieducarli. L’orgoglio per una patria bene armata può convincerli che pagare val la pena.
Tremonti non si fa capire e i tickettati non si rassegnano ai suoi numeri. Soffiare sulle bandiere è invece l’arte che l’avvocato La Russa (difensore dell’ordine degli onorevoli avvocati) esercita da maestro. Troverà le parole giuste per spiegare che il buon nome dell’Italia in armi pretende il sacrificio dei ticket. Cosa sono 10 euro? Mussolini chiedeva alle spose di donare alla patria gli anelli nuziali: oro per comprare cannoni. Adesso solo aspirine, sacrificio diciamo modesto, ma necessario a mettere assieme una pastiglia alla volta quei 23 miliardi indispensabili a restare dignitosamente sul mercato delle guerre.
Anziché piagnucolare miserie senza nobiltà, dovrebbero gioire per il buon nome della patria che avvolge la dignità di ogni cittadino: l’orgoglio di sentirsi italiani, ottava potenza nelle spese militari del mondo. È vero che l’articolo 11 della Costituzione ripudia ogni conflitto, ma è una vecchia carta. Va cambiata, in settembre tutti al lavoro. Intanto bisogna pagare, altrimenti i nostri generali non arriveranno mai sui ponti di comando della Nato. Pagare le missioni armate di pace in Afghanistan, 500 milioni di euro. Non importa se il dubbio si allarga e quando Washington ordinerà il rompete le righe sarà difficile capire se i sacrifici dei ticket avranno lievitato una piccola democrazia o tutto resterà come cento anni fa. Pazienza i morti: 109 mila afghani senza fucile e gli italiani che sono diventati 41: “Ma non è il momento di fare questi discorsi”. Servono 500 milioni per tenere a galla gli affari di famiglia del presidente Karzai cresciuto fra signori dell’oppio; imbroglia le elezioni ma è la sola garanzia e bisogna tenerlo com’è.
Intanto, avanti in Libia dove i costi restano misteriosi eppure – si racconta – la nostra umanità è apprezzata. Come ripeteva il vescovo generale dei cappellani militari quando picchiavamo sulla Serbia, gli “italiani bombardano per amore”. E l’articolo 11 non può rimproverare niente. Certe spese non appaiono nei bilanci, conti extra che bisogna scavare per capire e Peace Reporter lo fa. Abbiamo ordinato 131 bombardieri F35 attrezzati per sganciare testate nucleari. Stiamo rateizzando 16 miliardi. E poi centinaia di milioni per elicotteri Augusta, elicotteri Usa, due sottomarini, insomma, minimo necessario per andare a testa alta.
Anche se la dobbiamo abbassare perché la vanagloria di sparare assieme ai potenti cancella le promesse solenni di quando le tragedie travolgono popolazioni disperate. Promesse per Haiti? Vuoti di memoria. Qualcosa si potrebbe fare in Somalia, ma la cooperazione non trova spazio nei programmi di La Russa. Gli impegni internazionali ai quali solennemente teniamo fede sono sempre e solo quelli delle armi. La solidarietà non muove gli affari e prima o poi la fame passerà. Quanti ticket divora un aereo da combattimento e quante aspirine un sottomarino o un elicottero d’attacco? Migliaia? Milioni? Basta coi pacifisti che rompono le scatole.
Il Fatto Quotidiano, 26 luglio 2011
Tremonti non si fa capire e i tickettati non si rassegnano ai suoi numeri. Soffiare sulle bandiere è invece l’arte che l’avvocato La Russa (difensore dell’ordine degli onorevoli avvocati) esercita da maestro. Troverà le parole giuste per spiegare che il buon nome dell’Italia in armi pretende il sacrificio dei ticket. Cosa sono 10 euro? Mussolini chiedeva alle spose di donare alla patria gli anelli nuziali: oro per comprare cannoni. Adesso solo aspirine, sacrificio diciamo modesto, ma necessario a mettere assieme una pastiglia alla volta quei 23 miliardi indispensabili a restare dignitosamente sul mercato delle guerre.
Anziché piagnucolare miserie senza nobiltà, dovrebbero gioire per il buon nome della patria che avvolge la dignità di ogni cittadino: l’orgoglio di sentirsi italiani, ottava potenza nelle spese militari del mondo. È vero che l’articolo 11 della Costituzione ripudia ogni conflitto, ma è una vecchia carta. Va cambiata, in settembre tutti al lavoro. Intanto bisogna pagare, altrimenti i nostri generali non arriveranno mai sui ponti di comando della Nato. Pagare le missioni armate di pace in Afghanistan, 500 milioni di euro. Non importa se il dubbio si allarga e quando Washington ordinerà il rompete le righe sarà difficile capire se i sacrifici dei ticket avranno lievitato una piccola democrazia o tutto resterà come cento anni fa. Pazienza i morti: 109 mila afghani senza fucile e gli italiani che sono diventati 41: “Ma non è il momento di fare questi discorsi”. Servono 500 milioni per tenere a galla gli affari di famiglia del presidente Karzai cresciuto fra signori dell’oppio; imbroglia le elezioni ma è la sola garanzia e bisogna tenerlo com’è.
Intanto, avanti in Libia dove i costi restano misteriosi eppure – si racconta – la nostra umanità è apprezzata. Come ripeteva il vescovo generale dei cappellani militari quando picchiavamo sulla Serbia, gli “italiani bombardano per amore”. E l’articolo 11 non può rimproverare niente. Certe spese non appaiono nei bilanci, conti extra che bisogna scavare per capire e Peace Reporter lo fa. Abbiamo ordinato 131 bombardieri F35 attrezzati per sganciare testate nucleari. Stiamo rateizzando 16 miliardi. E poi centinaia di milioni per elicotteri Augusta, elicotteri Usa, due sottomarini, insomma, minimo necessario per andare a testa alta.
Anche se la dobbiamo abbassare perché la vanagloria di sparare assieme ai potenti cancella le promesse solenni di quando le tragedie travolgono popolazioni disperate. Promesse per Haiti? Vuoti di memoria. Qualcosa si potrebbe fare in Somalia, ma la cooperazione non trova spazio nei programmi di La Russa. Gli impegni internazionali ai quali solennemente teniamo fede sono sempre e solo quelli delle armi. La solidarietà non muove gli affari e prima o poi la fame passerà. Quanti ticket divora un aereo da combattimento e quante aspirine un sottomarino o un elicottero d’attacco? Migliaia? Milioni? Basta coi pacifisti che rompono le scatole.
Il Fatto Quotidiano, 26 luglio 2011
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