L'Italia non è la Grecia, possiamo dormire sonni tranquilli. Ce lo dicono tutti, persino
le società di rating si sono fatte più prudenti. Eppure c'è qualcosa che lega l'Italia alla Grecia: è la risposta alla crisi globale, un'opportunità per il capitalismo colpito al cuore da se stesso che tenta di ripartire utilizzando gli stessi meccanismi che l'hanno quasi affondato. Il primo obiettivo è modificare i rapporti di forza cancellando regole, resistenze e contropoteri per avere mano libera sulla forza lavoro, spazzando via o inglobando i sindacati. Un processo coerente con la riduzione di spazi democratici e l'accentramento delle decisioni in pochissime mani in atto nella sfera politica e istituzionale. È il sogno di una governabilità garantita dalla cancellazione delle regole democratiche e degli anticorpi.Il Congresso della Cgil doveva tentare di sciogliere questo nodo. Dentro la crisi, con un governo servile verso i poteri forti e aggressivo con i deboli senza potere, va in scena lo smantellamento dei diritti dei lavoratori attraverso la cancellazione di regole, garanzie e contropoteri. Il lavoro frantumato dalla globalizzazione è libero di agire senza alcun controllo politico - quello sociale ridotto al lumicino per l'inadeguatezza dei sindacati rispetto a una sfida, appunto, globale. Saltate le sicurezze e dunque le speranze di futuro, chi lavora è solo di fronte a chi lo comanda, non più classe ma numero, insieme di individui. La precarietà è una condizione che comprende l'intera vita delle persone. Ai sindacati viene imposta una scelta: adeguarsi, rinunciare al conflitto e accettare le nuove regole «oggettive» in cambio di un lasciapassare ai luoghi del comando con un ruolo da uscieri, legittimati non più dagli «azionisti di riferimento», non dagli iscritti e dal mondo del lavoro, ma dalle controparti, governi e padroni. Uscieri a cui affidare crescenti pezzi di welfare privatizzati. Altrimenti, fuori dal gioco e dai tavoli (truccati).Due le scelte possibili per la Cgil, dopo la controriforma dei contratti realizzata con un accordo separato imposto ai lavorati espropriati anch
e della parola. La prima è avanzata da una minoranza della Cgil, i metalmeccanici Fiom insieme a dirigenti e settori importanti: non basta dire no allo smantellamento delle regole, serve una risposta diversa da sostenere con un forte movimento di lotta. L'unità con Cisl e Uil, complici delle controparti, è un obiettivo da ricostruire. Chi non sa che uniti si vince e divisi si perde? Oggi però questa unità non è praticabile. La seconda scelta è quella della maggioranza epifaniana della Cgil: non possiamo restare nell'angolo, un sindacato esiste in quanto contratta, dunque riprendiamo posto ai tavoli di trattativa. All'unità sindacale non c'è alternativa e chi lo mette in dubbio finisce fuori gioco. Non basta. Per sancire questa svolta la maggioranza ha imposto la modifica delle regole interne alla Cgil, a partire dallo statuto. E le categorie (in cui può crescere la mala erba del dissenso) perdono il diritto di parola. Proprio come l'insieme dei lavoratori.La Cgil cambia natura?


Un passo in questa direzione è stato sancito da un Congresso debole nei contenuti, fortissimo nell'esclusione del pensiero critico. Un passo pericoloso, ma strada è ancora lunga.
(su il manifesto del 09/05/2010)
Nelle conclusioni del congresso di Rimini ci sono poi altre cose che alimentano la più seria preoccupazione. Non c’è chi non veda che mai come oggi si è aperta una divaricazione culturale e strategica fra la maggioranza che si raccoglie intorno a Guglielmo Epifani e la Fiom. Che il voto referendario dei lavoratori sugli accordi sia considerato niente più che un’opzione rimessa alla discrezionalità dei gruppi dirigenti e non un diritto irrevocabile dei lavoratori dice quanto il tema cruciale della democrazia sia tutt’altro che metabolizzato. Che la Cgil assegni alla Confederazione, statutariamente, la potestà esclusiva e dirimente di pronunciarsi in merito alle scelte dell’organizzazione, espropriando le categorie di qualsivoglia ruolo e p
rerogativa in tal senso, è indice di un avvitamento burocratico che impoverisce la dialettica interna e premia, nel nome dell’«unicità della Cgil», una pericolosa torsione verticistica, già sperimentata nel confronto sul modello contrattuale. In questa nuova geometria di poteri, paradossalmente, ogni categoria sarà legittimata, al proprio interno, ad agire secondo gli indirizzi più disparati: la difesa strenua del carattere inalienabile del contratto nazionale da parte dei metalmeccanici potrà così tranquillamente convivere con la disponibilità alle deroghe aziendali sottoscritta dai chimici. E così via.

Hanno di che rallegrarsi Cisl e Uil, le quali hanno ben compreso che la direzione (si fa per dire) dell’orchestra resterà saldamente nelle loro mani.
(tratto dall'art finale di liberazione 9 maggio 10)
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